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Forlì, febbraio 2006
"IL COLPO DI MANO"
Una procedura non costituzionale, in cui con due emendamenti
s’È cambiato l’intero sistema elettorale.
Intervista a Marco Boato da UNA CITTA’, febbraio 2006
Lo scandalo di una legge concepita, in previsione di una sconfitta, per sabotare la governabilità.
Il ruolo senza precedenti nella storia della repubblica del Presidente della Camera.
E poi tantissime assurdità, come le quattro soglie,
come l’impossibilità di schierarsi per il voto della Val d’Aosta...
Quest’estate la proposta di una nuova legge elettorale è arrivata veramente come un fulmine a ciel sereno. Ma il 9 e 10 aprile pochi elettori sapranno come funzionerà questa legge. Come è possibile che le elezioni, uno dei momenti qualificanti della democrazia, avvengano in questo modo?
Non dico parole più grosse, anche se qualcuno le ha usate, ma per me è stato un colpo di mano istituzionale. Basta ripercorrere le cronache dell’estate del 2005 quando i contrasti politici dei quattro partiti che compongono la Casa delle Libertà avevano assunto toni violenti, duri, insultanti. Ricordiamoci che ad un certo punto Berlusconi ha usato addirittura l’espressione “metastasi” riferita ai contrasti interni alla casa delle libertà. La CdL era arrivata ad una sorta di “cupio dissolvi” al proprio interno che aveva, come segno principale, la fine della fiducia incondizionata verso la leader ship di Berlusconi. Il caso più eclatante è stato ovviamente quello di Follini e in generale dell’Udc, di Tabacci e dello stesso Casini. Ma lo stesso Fini, che è stato molto più defilato in questa vicenda, ha fatto capire molte volte che ormai emergeva una voglia di cambiare leadership. I contrasti di merito politico erano anche segnati da una sorta di clima da “fine dell’impero”. Incombeva la prospettiva non solo di una probabile sconfitta elettorale, ma addirittura di una sconfitta “catastrofica”. Quella differenza di 100 deputati e 50 senatori che c’è oggi a favore del centrodestra si sarebbe potuta rovesciare nel suo contrario. Lo dicevano i sondaggi e lo dicevano i risultati di tutte le elezioni svolte negli ultimi due anni. E’ stato in questa fase, parliamo dell’agosto del 2005, che i leader del centrodestra hanno cercato di capire se c’era una qualche carta per poter risalire. Una, ovviamente prioritaria, doveva rovesciare la prospettiva della sconfitta, ma loro stessi ci credevano poco. L’altra, subordinata, era quella per attenuarne l’impatto. Va bene - hanno pensato - noi nel 2006 perderemo, ma non possiamo perdere con una catastrofe epocale quale quella che si preannuncia. In questa situazione la subordinata è diventata l’obiettivo non dichiarato ma principale, cioè: cerchiamo di ridurre i danni manipolando la legge elettorale. Si è aperta allora una polemica sul fatto se si possa cambiare la legge elettorale nella parte conclusiva della legislatura. Il vero problema è che, in un sistema democratico corretto, non si dovrebbe cambiare la legge elettorale in modo totalmente unilaterale. Qualcuno dice che già nel ’93 si cambiò la legge elettorale alla fine della legislatura, ma non è vero. Si era all’inizio, la legge fu cambiata in un clima di grande partecipazione bipartisan e, successivamente, si decise di sciogliere le Camere e andare al voto con le nuove regole. C’è una bella differenza, lo capisce chiunque. In una partita in cui ci sono due squadre, il confronto in campo può essere anche il più feroce, ma l’unica cosa che non può essere messa in discussione è il rispetto delle regole, la loro condivisione. Uno non entra in campo in una partita di qualunque sport se pensa che le regole siano truccate o se crede che le regole le abbia dettate la squadra avversaria da sola. Naturalmente si intende ampia condivisione, non unanimità. E’ curioso ricordare come ad opporsi al cambiamento della legge elettorale nel 1993 fu soprattutto l’Msi, che poi fu quello a guadagnare più di tutti dal maggioritario, al punto che anni dopo An si impegnò a fondo nel referendum per eliminare la parte proporzionale che ancora era presente nella legge elettorale. Dopo 12 anni, con un semplice tratto di penna unilaterale si è voluto cancellare un referendum passato con l’80% dei sì e una legge discussa in Parlamento con grande partecipazione di tutti e votata da una grande e significativa maggioranza.
Nei lavori parlamentari prima dell’estate non si erano avute avvisaglie di questo radicale cambiamento...
Pochi sanno che la Commissione Affari costituzionali della Camera, dove poi nel settembre 2005 si è imposto il nuovo sistema elettorale, aveva da molti mesi all’ordine del giorno, in modo condiviso tra maggioranza e opposizione, una serie di proposte di legge riguardanti alcune limitate modifiche del sistema elettorale (una delle quali tendente ad eliminare lo scorporo che aveva creato problemi non indifferenti per via delle liste civetta). Nella testa del centrodestra era ormai prevalsa l’idea che a loro non conveniva più andare alle elezioni maggioritarie col simbolo CdL, ma che con veniva, per catturare il più possibile il consenso dei propri elettori, andare con i simboli di partito. Dopodiché, neanche cinque simboli bastavano più. Forza Italia, Udc, An e Lega sono già quattro, ma a quel punto si volevano recuperare le forze minori: la rinascente Democrazia Cristiana di Rotondi, Alternativa Sociale della Mussolini, il nuovo Psi di De Michelis, i Repubblicani di La Malfa e anche un gruppetto di Radicali. Per cui il centro-destra ha tentato di cambiare la legge Mattarella aumentando il numero dei simboli visibili nella scheda da cinque a otto. Uno può dire che questo era fatto per il loro esclusivo interesse, però non è scandaloso: se io sono sostenuto da 8 forze politiche è comprensibile che io possa volere sulla scheda gli 8 simboli.
Se voglio scrivere Ulivo o Unione da una parte e CdL dall’altra lo faccio, ma se io voglio mettere i simboli di chi mi sostiene, di per sé non è scandaloso. Era chiaramente una modifica a loro vantaggio, ma non era un sopruso. Quindi questo era il terreno, tant’è vero che Donato Bruno di Forza Italia, relatore e presidente della Commissione, ad un certo punto aveva posto un termine per gli emendamenti, mi sembra a fine giugno. E guardate che sono stati presentati addirittura più emendamenti dalla CdL che non dal centrosinistra. In commissione vige questa regola: il relatore propone una certa data, chi vuol presentare gli emendamenti lo deve fare entro quella scadenza; poi, completato il fascicolo degli emendamenti, si comincia ad esaminarli e a vedere quali sono le convergenze e le divergenze. Eravamo in una fase, come detto, con proposte anche diversificate, ma non di scontro frontale. Fatto sta invece, che, finita questa fase, si trascinano le settimane una dopo l’altra - siamo in luglio, e in agosto si chiudono le Camere - senza quagliare nulla. Cioè si capiva che non riuscivano a trovare un accordo tra di loro per potersi poi confrontare con noi. In questo clima da “fine dell’impero”, da “ci sta crollando tutto addosso, questi ormai hanno la possibilità non di vincere ma di stravincere”, la forza della disperazione li ha portati a cercare e a trovare quasi miracolosamente un accordo a fine agosto, con la situazione paradossale che noi abbiamo letto queste cose sui giornali perché il Parlamento era chiuso. Ma quando per la prima volta la commissione (l’aula era ancora chiusa) è tornata a riunirsi e il clima era ancora vacanziero - ci salutiamo, dove hai fatto le vacanze, dove sei stato... quel clima da primo giorno di scuola c’è anche in Parlamento - il presidente ha aperto la seduta e, con nonchalance, ha detto: “Un gruppo della maggioranza ha chiesto di riaprire i termini per gli emendamenti della legge elettorale”. Lì è stato l’innesco, ovviamente era prevedibile che succedesse perché sui giornali si leggeva che dopo aver litigato tutta l’estate probabilmente avevano trovato un accordo. Anche se sembrava difficile, tanto erano contrastanti le posizioni. Infatti la Lega non era entusiasta di questo cambiamento e in pratica ha detto: “Prima portiamo a casa la riforma costituzionale che è l’unica cosa che ci interessa, se viene a casa quella, pensiamo anche al resto, ma prima la riforma costituzionale”. Forza Italia aveva le sue leggi in tema di giustizia, per usare eufemismi, e chiedeva compattezza su quelle, quindi ognuno voleva portare a casa un pezzo. Questa logica di scambio tra i partiti della coalizione di centrodestra ha fatto sì che spettasse all’Udc la palla dello spingere sulla riforma elettorale. Paradossalmente colui che più l’ha voluta è stato il primo sacrificato sull’altare: Follini, che aveva spinto per avere la riforma elettorale per ridimensionare anche il ruolo di Berlusconi, è stato sacrificato nel giro di 48 ore con un cinismo che non ha pari nella storia recente. L’uomo che ha ripreso il potere dentro l’Udc, dopo esser stato defilato per un certo periodo, è stato allora il presidente della Camera, che poi da mesi di fatto non fa più il presidente della Camera, cioè lo fa di fatto ma non lo fa di stile. Ormai tutti i giorni c’è una dichiarazione di Casini, feroce come mai gli ho sentito fare in tutti questi anni.
Bisogna precisare che Casini, correttamente e anche in modo inedito, all’inizio della legislatura, appena eletto presidente della Camera, è uscito dal suo gruppo e si è iscritto al gruppo misto per dare anche un’immagine di super partes. E quindi per quattro anni e tre quarti Casini è stato membro del gruppo di cui io sono presidente. Io avevo capito che sarebbe cambiato il clima quando il presidente della Camera è venuto nel mio ufficio a dirmi: “Caro presidente Boato ti annuncio prima di dirlo all’esterno che intendo uscire dal gruppo misto per tornare nel mio gruppo di origine poiché intendo da questo momento fare la campagna elettorale per l’Udc”. Tra l’altro non aveva voluto che andassi io da lui ma aveva preteso di venire lui nel mio ufficio, un atto formale di grande correttezza istituzionale. Però poi abbiamo visto cos’ha comportato questo, perché veramente Casini nel giro di poche settimane è entrato coi piedi nel piatto della campagna elettorale con una pesantezza inaspettata e ogni giorno le sue dichiarazioni sembrano far emergere una specie di dottor Jeckyll e mister Hyde. L’ho sentito con le mie orecchie dire: “Il programma del centrosinistra è carta straccia”. Ora questo lo può dire il Calderoli di turno, ma uno che è tuttora presidente della Camera in carica, anche se siamo negli ultimi scorci di legislatura, non può usare espressioni del genere. E poi gli ho sentito dire in televisione: “Sì, è molto grave quello che ha fatto Calderoli, ma è molto più grave che in una manifestazione della sinistra ci sia stato questo slogan dieci, cento, mille Nassirya”, con la differenza che lo slogan infame l’ha detto un gruppuscolo di estremisti che si è infilato in una manifestazione che non aveva quello slogan come piattaforma. La grande differenza poi è che Calderoli è ministro in carica del governo e ripetutamente aveva detto cose inaccettabili. Quando un presidente della Camera arriva ad avere questi atteggiamenti è il segnale della gravità della situazione. Una situazione brutta e gestita malamente. A me poi questo ha provocato anche una certa amarezza personale perché nella diversità di schieramenti c’era sempre stato un rapporto di correttezza reciproca.
Ma cosa succede in commissione? C’è uno spazio di confronto con l’opposizione?
Per tornare al racconto, succede che l’8 settembre, quasi en passant, viene detto in commissione che un gruppo, che è l’Udc, ha chiesto di riaprire i termini per la presentazione degli emendamenti, termini che erano scaduti, come ho ricordato prima, a fine giugno, cioè da mesi. Noi ci opponiamo, ma ovviamente loro sono la maggioranza e impongono coi numeri la riapertura dei termini, che vengono fissati per il 13 di settembre. Quel giorno vengono depositati con la firma dei capigruppo del centrodestra due emendamenti interamente sostitutivi della legge elettorale della Camera e del Senato. E’ una cosa che non ha precedenti nella storia parlamentare: con due emendamenti si introducono due nuovi sistemi elettorali, uno per la Camera e un altro per il Senato. E qui c’è una serie di violazioni enormi.
La prima, gravissima, riguarda l’ammissibilità di questi emendamenti. Mi rendo conto che per chi legge non è semplice seguirmi, perché sono cose di diritto parlamentare, molto tecniche, ma di enorme importanza perché riguardano le regole che dovrebbero essere condivise. Allora, quando c’è una proposta all’esame - quale che sia: un decreto legge o una proposta di legge - e io presento degli emendamenti che esulano dalla portata di quella proposta (in quegli emendamenti era in ballo addirittura la modifica di tutta la legge elettorale) in base al regolamento della Camera in particolare e anche nella sua prassi, non è che mi sia vietato fare proposte, ma a quel punto mi si dice: “Fai una nuova proposta di legge se vuoi cambiare tutto”, e viene dichiarato inammissibile quell’emendamento. La correttezza avrebbe voluto che il presidente della commissione, magari sentito il Presidente della Camera, dichiarasse inammissibile quell’emendamento. Non averlo fatto è stata una violazione enorme dal punto di vista delle procedure parlamentari e dal punto di vista del diritto parlamentare e pure del diritto costituzionale, perché c’è una violazione della Costituzione, che in un articolo dice che ogni legge viene esaminata articolo per articolo. Qui invece abbiamo un semplice emendamento che cambia decine di articoli della legge elettorale per la Camera e un altro emendamento che fa altrettanto per la legge elettorale per il Senato. Abbiamo cercato di spiegare che eravamo di fronte a una violazione gravissima, non solo rispetto alla correttezza dei rapporti (non si cambiano le regole del gioco unilateralmente) ma anche delle procedure parlamentari. Tutto questo non solo non è servito a nulla, ma pochi giorni dopo c’è stata una violazione ancora più grave. Perché su quei due emendamenti era iniziato comunque il confronto in commissione e avendo noi sollevato una serie di problemi rispetto al referendum, alla legge del 1993, ai tempi, alle procedure, al merito e così via, la CdL, con la firma dei propri capigruppo, cosa fa? Presenta lei stessa una serie di subemendamenti ai propri emendamenti, cioè se li cambia da sola con il risultato che l’opposizione era completamente destituita di qualsiasi potere. Perché si possono emendare gli emendamenti con i subemendamenti, ma non si possono, per diritto parlamentare, subemendare i subemendamenti. La vera e propria truffa parlamentare è stata portata a compimento nel giro di due settimane, tagliando fuori totalmente l’opposizione con un colpo di mano istituzionale. Fa una certa impressione pensare che in 15-20 giorni, facendo strame di regole e prassi consolidate, è stata cancellata una legge voluta dalla grande maggioranza dei partiti e degli italiani, preparata in anni di discussioni, dibattiti parlamentari, prese di posizione, campagne referendarie; una legge che aveva dato buona prova di sé, perché tutti ricorderanno che doveva garantire due obiettivi principali: l’alternanza e la governabilità, e questo era sostanzialmente successo. Io ho l’impressione, complice il fatto che era estate, che all’esterno si sia capito e non si sia capito, perché poi i giornali si vendono con quattro parole, cosa c’è di più democratico che il proporzionale, in cui ognuno conta per i voti che ha? E allora, a proposito di spirito democratico e per capire con chi abbiamo a che fare, val la pena ricordare anche quello che hanno tentato di introdurre, rimangiandoselo poi di fronte all’enormità della cosa. La nuova legge proporzionale prevede un premio di maggioranza alla coalizione che ottiene più voti. Ma la prima proposta prevedeva il premio alla coalizione che otteneva più seggi, escludendo cioè i voti dei partiti che non avessero raggiunto il quorum! In questo modo per esempio una coalizione con il 46% dei voti avrebbe potuto governare grazie al premio di maggioranza, sebbene l’altra coalizione avesse raccolto il 52% dei voti.
Questa era una cosa talmente enorme, brutale, disgustosa che poi hanno dovuto rimangiarsela con uno di quei famosi subemendamenti.
Possiamo entrare nel dettaglio della nuova legge elettorale? Ormai tutti pensano che sia solo questione di passare dal maggioritario al proporzionale, un semplice ritorno all’antico...
Dicevo prima che il secondo obiettivo in subordine della CdL era ridurre la portata della sconfitta. Come? Secondo le ipotesi e i trend elettorali precedenti, con il maggioritario il centrosinistra avrebbe potuto conquistare alla Camera una maggioranza parlamentare di 100 seggi di differenza, e forse qualcuno in più. Con il proporzionale, pur considerando il premio di maggioranza, la differenza sarà certamente inferiore, e quindi si ridurrebbe fortemente l’impatto dell’eventuale sconfitta del centrodestra.
Ci sono altri aspetti di questa legge elettorale che vanno spiegati. Se una coalizione alla Camera prende più del 55%, si azzera il premio di maggioranza, perché se una coalizione da sola arriva lì, non ha nessun problema a governare. Al Senato la situazione è molto più difficile e complicata, tant’è vero che nel dibattito politologico, nelle opinioni di chi ha competenze in materia di sistema elettorale, l’attenzione è più puntata sul possibile Senato futuro che non sulla Camera.
Noi siamo ancora, e lo saremo a lungo, in un sistema di bicameralismo perfetto. Ma dovremo ragionare su una modifica federalista del sistema parlamentare. Faccio un inciso: noi di centrosinistra abbiamo discusso di questi argomenti nell’elaborazione del programma e abbiamo scritto che il primo obiettivo è vincere il referendum e spazzar via quella controriforma dei 53 articoli della Costituzione - lo faranno i cittadini col loro voto dopodiché noi accetteremo che si possa modifica re la Costituzione discutendo insieme una modifica dell’art 138 in modo da alzare la soglia della seconda lettura nelle riforme istituzionali. Io ho proposto una soglia dei 3/5, che equivale al 60%, altri dei 2/3, cioè il 66%, ma nel programma giustamente non si entra nei dettagli poiché dovrà essere una decisione largamente condivisa con l’opposizione. Su questa materia occorrerebbe ben più ponderazione, per evitare situazioni folli come quella per cui per cambiare la Costituzione basta la maggioranza assoluta e per approvare un indulto o un’amnistia ci vogliono i 2/3, che significa l’impossibilità assoluta.
Ma torniamo alla legge elettorale. Il ramo del Parlamento che appare più gravemente colpito dagli effetti politici di questa operazione è il Senato. Quando si voterà il 9 e 10 aprile si voterà per eleggere Camera e Senato nella composizione attuale, con le funzioni attuali e con un rapporto paritario anche per quanto riguarda la fiducia al governo. Entrambe le Camere danno la fiducia ed entrambe, o anche una sola, possono toglierla.
Perché sto dicendo questo? Perché è rispetto a questo che la nuova legge mostra tutta la sua faziosità e la sua pericolosità. Era un dato acquisito che alternanza e governabilità fossero elementi importanti per il Paese. Non è accettabile che una parte stravolga la legge elettorale per evitare di perdere, o di perdere troppo. Con la nuova legge sarà possibile, non dico probabile, ma possibile, che una coalizione vinca bene alla Camera e perda poi, o vinca di strettissima misura al Senato. E questo perché? Perché al Senato il premio di maggioranza non funzionerà come alla Camera, ma sarà su base regionale. Quindi, mentre alla Camera servirà effettivamente per garantire una maggioranza stabile, al Senato appare più come un meccanismo riequilibratore e non un premio in nome della governabilità. E’ evidente che la CdL, pensando di perdere, ha voluto giocare le carte che ritiene di avere in mano - cioè la probabilità di avere una maggioranza in alcune regioni importanti - per contrastare l’eventuale vittoria del centrosinistra alla Camera con un Senato dalla maggioranza instabile.
La riforma, o controriforma, del Senato è ancora più grave di quella per la Camera perché per la prima volta dal 1948, da quando si vota per il Senato, si cancellano con un tratto di penna tutti i collegi. Eccetto la Valle d’Aosta che elegge solo 1 senatore, il Molise che ne ha 2, il Trentino Alto Adige che conserva i 6 collegi con 7 eletti - sei tramite i collegi e uno tramite il recupero proporzionale -, nelle altre 17 regioni succederà che chi vince, cioè chi avrà almeno un voto più dell’altro schieramento in quella regione, otterrà il 55% dei seggi.
Invece di introdurre un premio di governabilità per il Senato, noi avremo tanti premi di maggioranza, uno per ognuna delle regioni eccetto le tre che ho detto, e questi premi saranno contrastanti tra di loro, perché è del tutto realistico immaginare che in Veneto e in Lombardia il premio di maggioranza lo conquisterà la Cdl, forse anche in Sicilia, mentre in Toscana, Emilia Romagna, Umbria, Marche e Campania il premio lo conquisterà il centrosinistra, poi ci sono le altre regioni più o meno in bilico, e i premi di maggioranza potrebbero essere in contrasto l’uno con l’altro, quindi non saranno premi per governare meglio il paese perché la somma tenderà ad azzerarsi. Nella migliore delle ipotesi la nuova legge porterà ad avere una buona maggioranza alla Camera e una risicata o poco più in Senato. Ma nella peggiore ipotesi, non impossibile, potrà succedere che al Senato ci sarà una maggioranza, magari di due o tre senatori, diversa da quella della Camera.
E allora che si farà?
Se un governo non ottiene la maggioranza entro due mesi si sciolgono le Camere e si torna a votare. Ma torni a votare nelle stesse condizioni: non è che in due mesi puoi cambiare la legge.
Questa è la sindrome di Weimar. Non che oggi ci sia un pericolo nazista, ma una classe politica seria non può sottoporre il paese a un rischio di ingovernabilità a tempo indeterminato. Per non parlare dei rischi di trasformismo e di compravendita di senatori... Ritengo possibile e probabile che ci sarà una maggioranza omogenea nei due rami del Parlamento, ma la maggioranza al Senato potrebbe essere risicatissima e quindi comunque il Senato della prossima legislatura, dopo il 10 aprile, potrà essere teatro di operazioni poco trasparenti sul piano politico, perché quando hai una maggioranza minima sei nelle mani del potere di ricatto di qualunque piccolo pezzo della tua maggioranza e comunque diventi sensibile agli approcci di qualche pezzo marginale dell’opposizione che può offrirsi alla maggioranza con qualche operazione trasformistica. E i prezzi in queste materie non sono mai né puliti né limpidi.
Non parlo di corruzione, spero non accada, ovviamente, ma semplicemente di scambio di leggi, di favori, di posti di sottogoverno e di governo e così via.
Quali altri aspetti probabilmente poco conosciuti ci sono in questa nuova legge?
Ci sono aspetti minori di incostituzionalità come ad esempio il voto della Val d’Aosta, che non si può collegare a una coalizione. Mentre i cittadini di qualunque regione italiana votano per un partito che può essere collegato a una coalizione per cui può diventare potenzialmente maggioranza di governo, i cittadini della Val d’Aosta votano solo per eleggere un loro rappresentante alla Camera e al Senato. Quindi non verranno contati, quindi sono voti dimezzati. Fra i tanti aspetti discutibili di questa legge elettorale credo che ce ne siano alcuni di carattere tecnico e altri di carattere sistemico che sono emersi con più forza e che fanno capire l’espressione, che io condivido in pieno, usata da Prodi “hanno avvelenato i pozzi”.
Questa espressione ha colpito molti perché dà l’idea che la degenerazione non si risolverà nel fatto che sarà un po’ più difficile vincere le elezioni (e non è detto che si vincano, ovviamente).
Un altro aspetto che non ha precedenti nel nostro sistema elettorale e in nessun altro sistema elettorale del mondo è la quantità di soglie che sono state introdotte: quattro soglie per la Camera, una del 10% per le coalizioni, una del 4% per le liste che si presentano al di fuori delle coalizioni, una terza soglia del 2% per le liste che si presentano dentro una coalizione che però faccia il 10%, perché se quella coalizione non fa il 10% quelle liste devono fare loro il 4%, perché è come se fossero fuori, e infine la quarta soglia è la migliore perdente tra le liste di ogni coalizione che non hanno ottenuto il 2%. Se in una coalizione ci sono 2-3 liste minori che non arrivano al 2%, i voti di queste liste servono per contare i premi di maggioranza, ma non servono per fare i propri seggi, salvo la lista più vicina al 2%.
Allora, questa è una norma che fa sorridere, ma siccome questo sistema elettorale è stato fatto anche come merce di scambio all’interno della CdL, è evidente che prima di tutto lo scambio è avvenuto tra Fi, An, Lega e Udc, dopodiché anche i piccolini hanno cominciato a bussare alla porta del mercato e in questo caso i piccolini si chiamano Chiara Moroni e De Michelis. Uno degli aspetti più sciagurati di questa legge è che non solo non ci sono preferenze ma non ci sono neanche criteri per scegliere chi mettere in lista. In Germania non ci sono preferenze e ci sono liste bloccate, ma i partiti prima di formare le liste sono obbligati ad una sorta di primarie per scegliere i candidati. Questo in Italia non esiste. Se qualcuno lo vuoi fare lo fa, ma non è obbligatorio.
Quindi ora in Italia, con questa nuova legge elettorale, sono i partiti i depositari dei simboli e delle deleghe a presentare le liste, e a decidere come viene composta la lista del proprio partito in ciascuna circoscrizione. Verranno quindi elette persone rigidamente selezionate dai partiti. Grosso modo, guardando le liste, si sa già come sarà composto il nuovo Parlamento, perché gli elettori non avranno a disposizione neppure una preferenza.
Con la nuova legge c’è il rischio che si perdano voti?
No, non c’è perché come abbiamo visto tutti i voti vengono conteggiati per la coalizione. Se un partito non raggiunge il 2% i suoi voti non daranno di ritto ad eleggere parlamentari di quel partito, ma saranno ugualmente utili alla coalizione. Realisticamente credo che non ci saranno partiti fuor dalle coalizioni, perché dovrebbero raggiungere il 4%. Gli eletti grazie al premio di maggioranza saranno distribuiti proporzionalmente tra i partiti della coalizione vincente e scelti nelle circoscrizioni dove sono stati ottenuti più voti.
Concludendo, e chiedendo scusa per i tecnicismi inevitabili, siamo alle prese con una legge elettorale partitocratrica e non meritocratica, una legge che dà tutti i poteri in mano ai partiti - che a me, sia chiaro, non fanno schifo, io faccio parte di un partito piccolo e faccio politica da una vita. Il sistema dei partiti è una cosa buona in democrazia, la degenerazione partitocratica del sistema dei partiti è una cosa cattiva.
La mancanza di trasparenza, la mancanza di democrazia, il potere eccessivo dei vertici, il potere eccessivo delle nomenclature sono tutti aspetti deteriori, e sempre in agguato, nel sistema dei partiti. Se questi aspetti vengono incentivati dalle norme elettorali la situazione non potrà che peggiorare. Nel sistema maggioritario non è che i partiti fossero degli angioletti, che non facessero errori e non ci fosse partitocrazia, ma sicuramente d’ora in poi ci sarà un deterioramento del clima, del potere e delle prassi politiche.
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MARCO BOATO
BIOGRAFIA
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